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  • Napoli riscopre lo spettacolare ipogeo di Piazza Plebiscito voluto da Murat

    Posto a sei metri sotto la Basilica di S. Francesco di Paola, si estende per oltre mille metri quadri e può ospitare fino a 300 persone. Un gioiello architettonico semisconosciuto destinato a diventare un prestigioso spazio per iniziative culturali

    di Kasia Burney Gargiulo

    1. Scorcio dell’ipogeo di Piazza del Plebiscito in corso di restauro, Napoli – Image ANSA
    2. Piazza Plebiscito vista da Palazzo Reale – Image source ccby-nd2.0
    3. Il progetto di Pietro Bianchi (1816) per la Basilica di S. Francesco di Paola, Napoli
    4. Pianta dell’ipogeo di P.zza Plebiscito – Fonte immagine Comune di Napoli
    5. Scorcio del colonnato della Basilica di S. Francesco di Paola, Napoli. Dai civici 6 e 7 si accede all’ipogeo © Augusto De Luca
    6. Cupola a lacunari della Basilica di S. Francesco di Paola, Napoli – Image source ccby-sa4.0
    7. Scorcio di Piazza del Plebiscito con la Basilica di S. Francesco di Paola, Napoli – Ph. Michael Paraskevas ccby-sa3.0
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    Esiste da circa due secoli ma era praticamente noto a pochi addetti ai lavori. Finalmente sta per diventare uno dei luoghi più cool della città di Napoli, una nuova prestigiosa sede per esposizioni museali, convegni, rassegne artistiche e altre manifestazioni culturali. E’ il grande ipogeo di Piazza del Plebiscito, celebre “salotto” cittadino che trovò il suo assetto definitivo dopo la restaurazione borbonica seguita al decennio francese che vide Gioacchino Murat sul trono di Napoli. L’ipogeo è ciò che resta dell’originario progetto murattiano di sistemazione della piazza (l’antico e irregolare Largo di Palazzo), un progetto ispirato al ruolo sociale, di rappresentazione e discussione politica, propria del foro romano. Affidato per concorso agli architetti Leopoldo Laperuta e Antonio De Simone, il Gran Foro Gioacchino prevedeva infatti in superficie la nascita di un edificio pubblico di forma circolare, riservato ad assemblee popolari, al centro di un uniforme e continuo colonnato semicircolare che chiudeva e caratterizzava lo spazio della piazza. Il progetto includeva anche una complessa e stupefacente architettura sotterranea – quella che ora sta per essere aperta al pubblico – di cui poco chiara rimane l’originaria destinazione, sebbene la funzione pubblica del sovrastante edificio possa far legittimamente ipotizzare che l’ipogeo servisse anch’esso come luogo di incontro collettivo, magari per spettacoli ed eventi.

    L’IPOGEO DI PIAZZA PLEBISCITO: DA SPAZIO LAICO A SOTTERRANEO DI UNA CHIESA

    Con l’uccisione di Murat, la conseguente fine del dominio francese e il ritorno dei Borboni sul trono di Napoli, i lavori di riqualificazione urbana, che erano iniziati nel 1809, subirono uno stop per poi riprendere con un nuovo progetto affidato da re Ferdinando IV all’architetto Pietro Bianchi, che rispolverò in parte quello di Laperuta e De Simone ma trasformò il grande edificio pubblico semicircolare voluto da Murat in un tempio classico in onore di S. Francesco di Paola.

    Tutta la logica compositiva delle strutture di superficie ne uscì inevitabilmente variata: mutarono i rapporti di volume fra chiesa e colonnato, avendo la prima preso il sopravvento con la nascita delle cupole sovrastanti le cappelle e di una imponente scalinata centrale in corrispondenza dell’ampio frontone in stile neoclassico. I modelli di riferimento per chiesa e colonnato sono facilmente riconoscibili – il romano Pantheon, con la sua pianta circolare, e il colonnato di S. Pietro – sebbene rievocati in scala ridotta. Bianchi mise mano anche alla sala ipogea che, posta 6 metri sotto il vestibolo della chiesa, riproduce le caratteristiche dell’aula ecclesiale in superficie. Strutturata interamente in pietra di tufo, con coperture a volta, ha un’altezza variabile dai 4,00 m ai 5,60 m. Dalla sala centrale, spazialmente definita da un pilastro ad archi a forma di fungo, attraverso un sistema di percorsi concentrici e di cunicoli è possibile raggiungere quattro sale più piccole, una di forma ottagonale, due circolari e una poligonale, poste a quote differenti ma corrispondenti anch’esse alle sovrastanti cappelle della chiesa.

    Questo genere di struttura ipogea non è estraneo al complesso e diffuso sistema di “città sotterranea” che caratterizza Napoli e che fu realizzato attraverso scavi effettuati fin dall’epoca greco-romana all’interno dei numerosi costoni tufacei, generatisi dall’aggregazione dei detriti vulcanici accumulatisi in seguito alla remota attività eruttiva dei Campi Flegrei. Un mondo ”di sotto” che ha permesso a quello superiore di esistere grazie ai materiali che ne vennero cavati nel corso dei secoli.

    L’accesso all’ipogeo è garantito in maniera autonoma da un ingresso che si trova all’interno dei locali corrispondenti ai civici 6 e 7 del colonnato: il pubblico potrà accedere attraverso una scala e un ascensore in vetro, immergendosi nel ventre della città fra archi e pietre di tufo lasciati a vista e tracce dei palazzi ottocenteschi a suo tempo abbattuti per lasciare spazio alla nuova struttura. Il tutto lungo un percorso che confluisce nella vasta sala centrale, rivestita da una sorprendente aura di modernità atemporale che già le è valso il nome di “Guggenheim napoletano”.

    IPOGEO: RITORNO ALLE ORIGINI

    Questi spazi sotterranei tornano dunque oggi a rivivere per un uso tutto sommato non distante dalla originaria funzione pubblica e culturale perseguita da Murat. L’attuale riqualificazione è stata voluta dal Comune di Napoli e dal Provveditorato alle opere pubbliche sulla base di un progetto che vede coinvolti anche Demanio, Curia, FEC (Fondo Edifici di Culto), Soprintendenza e Prefettura. “E’ un luogo ritrovato che verrà restituito alla città – ha detto Carmine Piscopo, assessore ai Beni comuni e all’Urbanistica – per cui stiamo portando avanti i lavori con il Provveditorato affinché l’ipogeo possa presto diventare uno spazio preposto ad ospitare l’arte e la cultura. E’ infatti ampio più di 1000 metri quadri e può ospitare fino a 300 persone alla volta. L’intenzione è quella di portare qui le più importanti esposizioni della città di Napoli. Ora sta per partire la gara per i lavori di completamento e finalmente la città potrà riappropriarsi di questo luogo meraviglioso.”

    “Il percorso di accesso – ha spiegato Salvatore Russo, architetto del Provveditorato alle opere pubbliche – sarà molto suggestivo. Il restauro ha rispettato lo stato in cui si presentava nel momento in cui è stato liberato dai detriti, con le pietre di tufo a faccia vista e i resti di palazzi abbattuti nell’Ottocento per fare spazio alle nuove strutture. Si arriva quindi alla grande sala circolare la quale presenta una serie di oculi che la collegano alla chiesa sovrastante e questo pilastro centrale a forma di fungo che ha a sua volta una sala al proprio interno.” “Si è inoltre notato – ha aggiunto Carmine Piscopo come in questo spazio gli effetti sonori siano molto particolari, di rifrazione e di amplificazione del suono”, effetti che si ripropongono anche negli spazi circostanti collegati alla sala centrale. “Attraverso ulteriori lavori – ha infine anticipato – si potranno lateralmente connettere questi spazi con la Galleria Borbonica [un altro degli straordinari spazi sotterranei riscoperti di recente, risalente al tempo di Ferdinando II di Borbone – NdR] e pensare a un ingresso da Piazza del Plebiscito e a una percorrenza fino a via Morelli. Insomma questa è una piazza “ritrovata” che diventa un accesso alla Napoli sotterranea con uscita dall’altra parte della città”.

  • Lettera di Tommaso Campanella n. 64

    (20 settembre 1624) [1]

    a cura di Pasquale Giustiniani

    A riprova della gran fama di padre Marin Mersenne in tutta Europa, a cui si rivolgevano ingegni di tutta l’Europa per sottoporre testi e chiedere patrocini per l’edizione di scritti, occorre segnalare che anche nell’epistolario del grande filosofo e teologo Tommaso Campanella (Stilo, Reggio di Calabria, 1568 – Parigi 1639), si può leggere una Lettera da Campanella indirizzata “al dottissimo teologo dell’Ordine dei Minimi”.

    Tommaso Campanella, dipinto a olio su tela (cm. 68 x 62), eseguito con ogni probabilità a Parigi nella seconda metà degli anni trenta del Seicento da un pittore non ancora identificato, presumibilmente della cerchia di Philippe de Champaigne. – Beauvais, Musée Départemental de l’Oise

    Come si ricorderà, il domenicano Tommaso Campanella, a seguito della congiura tramata in Calabria nel 1599 contro il governo spagnolo, fu arrestato e tradotto a Napoli, ove nel 1602 fu condannato al carcere perpetuo. Restò in prigione ventisette anni. In questo periodo riuscì comunque a lavorare e compose gran parte delle sue opere maggiori: la Monarchia di Spagna (1601), la Città del sole (v.), De sensu rerum (1603), Monarchia Messiae (1605), Antiveneti (1606), Atheismus triumphatus (1607), Philosophia rationalis (1619), Quod reminiscentur (1625).

    Liberato nel 1626, Campanella fu nuovamente rinchiuso nel carcere del Sant’Uffizio, donde sarà liberato (1629) per la benevolenza di Urbano VIII (che gli aveva fatto dare il titolo di magister e lo teneva come consigliere in fatto di astrologia). Campanella, che scrive a Marin Mersenne dal carcere napoletano (come si ricava dalla nota archivistica in calce alla Lettera), racconta di aver ricevuto la visita di fra’ Antonio Rengolio, il quale gli ha chiesto se avesse ricevuto tre lettere indirizzategli da Mersenne nei mesi precedenti. Ed ecco la sua reazione, quale si ricava da questa importante lettera:

    Sono rimasto meravigliato e insieme contento: avevo infatti scritto al conte di Castevilla – il quale mi aveva annunziato che un Padre dell’Ordine di san Francesco di Paola si era preso l’onere di pubblicare i miei libri di Metafisica –, affinché mi dicesse il nome di quel padre, in modo da potergli scrivere e sollecitarlo nelle forme dovute. E tuttavia, né da lui, né dal Padre di Paola avevo ricevuto lettere di risposta, per cui ero assai meravigliato e altresì rattristato. Adesso, invece, mi rallegro in quanto tutto ciò era accaduto non certamente a motivo dell’indifferenza degli amici e patroni, ma soltanto a motivo del pessimo stato delle strade o anche per l’inadempienza dei corrieri. Scongiuro, dunque, la tua Eccellenza venerabile (padre Mersenne), affinché ti degni di scrivermi mediante qualche più sicuro tramite, quale si è mostrato il padre Rengolio; se finora non è stata ancora data alle stampe la prima parte della Metafisica, attendete da me la correzione di bozza, come anche della seconda e terza parte. Similmente, penso che tu abbia anche gli altri commentari, il cui indice ho in precedenza trasmesso all’Accademia della Sorbona e all’illustrissimo di Langres, anzi ti prego fortemente di fartele consegnare dal Conte mio patrono. Se posso fare qualcosa, ti ordino di ordinarmelo; intanto sappi che io sono ammiratore delle tue egregie virtù; difatti il fulgore delle meravigliose verità, che nel tuo risplende e si accresce, non risplende in un ingegno volgare.

    Testo orginale della Lettera AL PADRE MARIN MERSENNE IN PARIGI

    Napoli, 20 settembre 1624

    Admodum reverendo Patri fratri Marino Merseno ordinis Minimorum, theologo doctissimo, salutem plurimam. Heri accessit ad me admodum reverendus Pater frater Antonius Rengolius, quaeritans an tres epistolas admodum reverendae Paternitatis Tuae praeteritis mensibus acceperim. Miratus sum atque una gavisus: scripseram enim ad illustrissimum comitem Castevillani, qui mihi nunciaverat quendam Patrem ex ordine sancti Francisci Paulani onus suscepisse edendorum Metaphysicorum meorum, ut renunciaret quis qualis esset ille Pater, ut possim meis epistolis sollicitare et monere quae oportuisset. Sed nec ab ipso Comite, nec a Patre Paulano deinde epistolium recepi ullum, et quidem mirabar valde contristabarque simul. Nunc laetor quidem, quod non amicorum et patronorum secordia, sed itineris iniuria aut tabellariorum infidelitate ita accidisse intelligo. Obsecro igitur Praestantiam Tuam venerabilem, ut dignetur scribere fideliori tramite, qualiter Pater Rengolius edixerit; et, si adhuc prelo non data est prima Metaphysicae pars, expectetis a me correctiorem illam et secundam tertiamque. Similiter et alios commentarios, quorum indicem ad Academiam Sorbonicam et ad illustrissimum Ligonensem pridem trasmisi, puto te habere; vel ut obtineas a Comite patrono meo te etiam atque etiam rogo. Si quid aliud valeo, iubeas iubeo, meque tuarum virtutum egregiarum amatorem esse intelligas; non enim in vulgare ingenium veritatum mirificarum fulgor affulget, qualis in tuo splendescere ac roborari uti sol in puro crystallo mihi videre video. Vale, meque Domino virtutum et sancto Francisco conterraneo commendato.

    Neapoli, die 20 septembris 1624.

    Frater Thomas Campanella Ordinis Predicatorum.

    Rescribe statim et per omnes tabellarios. Meo nomine comiti Castelvillani salutem dices, omniaque quae ad te scribo communicabis etc.

    [A tergo:] Al molto reverendo Padre fra Marino Merseno, teologo dell’ordine di san Francesco di Paola, padrone osservandissimo. In Francia, a…

    [1] Da Archivio dei Filosofi del Rinascimento: http://www.iliesi.cnr.it/ATC/testi.php?tp=1&iop=Lettere&pg=64

  • Marin Mersenne a Capri in nome della Bioetica e dei Diritti Umani

     di Pasquale Giustiniani

    La felice sinergia tra Comune di Capri e l’Associazione Marin Mersenne (Napoli, Sacrestia papale della Basilica di san Francesco di Paola in piazza Plebiscito) farà dell’Isola felice la vetrina internazionale delle questioni relative ai rapporti tra Bioetica e Diritti Umani. Bioethics and Human Rights – il cui primo Seminario è programmato per domenica 10 novembre 2019, a partire dalle ore 10.00 nella Sala L. Pollio (International Cultural Center) – è una delle tante forme che l’Associazione Mersenne sviluppa, per riportare in tutta Italia l’attenzione su un grande, seppur non molto conosciuto, pensatore della filosofia e della matematica (oltre che della musica) moderna: Marin Mersenne (Soultière du Bour d’Oisé, Maine, 1588-Paris 1648).

    La vice-presidente dell’Associazione Mersenne, prof.ssa Maria Rosaria Romano, esperta di Bioetica, ha perciò pensato e realizzato con il Comune di Capri e il patrocinio della Unesco Chair on Bioetihics, oltre che dell’arcidiocesi di Napoli, una serie d’incontri di rilievo internazionale, che si propongono di correlare le nuove scienze della biologia, della medicina, della tecnologia… con i grandi temi del dibattito giuridico, etico e politico internazionale, condensati nell’espressione “diritti umani”.

    Mersenne era un esponente dell’Ordine dei Minimi e transitò tra i Minimi di Napoli, portando le sue teorie innovative in campo matematico, fisico e filosofico-teologico. Ecco perché l’Associazione non poteva che rifarsi agli eredi di san Francesco di Paola in Napoli (sede della Provincia religiosa minima di “Santa Maria della Stella”). Il santo Paolano, infatti, in viaggio verso la Francia, passò per Napoli, e il 27 febbraio 1483, a seguito di una donazione economica del monarca aragonese Ferrante, mise gli occhi su un sito che, benché incolto e solitario, egli aveva previsto che sarebbe diventato “il centro più nevralgico e più aristocratico della città”. Dopo la demolizione del 1810 del precedente tempio napoletano dei Minimi (San Luigi a Palazzo, fondato da san Francesco) – avvenuta a seguito della distruzione imposta da Gioacchino Murat e dal dominio francese -, l’Ordine dei Minimi sarà ricostituito solamente nel 1814, stante la intenzione, espressa con voto dal Sovrano, di costruire un grandioso tempio a san Francesco di Paola sul luogo medesimo dove già sorgeva la chiesa di S. Luigi a Palazzo, se il Santo gli avesse impetrato la riconquista del Regno”. Papa Clemente XII, il 6 settembre 1738, proclamò Francesco da Paola patrono principale del Regno delle Due Sicilie, su richiesta del re Carlo VII di Borbone. A sua volta, Pio XII, il 27 marzo 1943, lo riconobbe patrono delle Associazioni preposte alla cura della gente di mare, delle società di navigazione e di tutti i marittimi d’Italia. Infine, San Giovanni XXIII, il 2 giugno 1962, sulla soglia del concilio Vaticano II, lo proclamò patrono principale della regione Calabria. Il 24 aprile 1990 San Francesco di Paola sarà infine nominato ambasciatore Unicef per la difesa dei diritti dell’infanzia.

    Oggi gli eredi di un Ordine così prestigioso aprono opportunamente i loro interessi al controverso mondo della Bioetica, in vista di un Festival internazionale di Bioetica e Diritti umani che, nel 2020, chiuderà il primo ciclo di Seminari. Come dicono gli studio di bioetica e biodiritto, lo sviluppo dell’idea di dignità umana attraversa il mondo antico (Cicerone) e cristiano, esplodendo negli USA e in Francia nel corso del secolo XVIII. Negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, il tema della dignità umana ha conosciuto grandi messe a punto, fino a entrare nelle Carte costituzionali, come quella italiana. La dignità è il fondamento delle varie generazioni di diritti, i quali oggi incrociano la bioetica antropica, il biodiritto, la bioetica animale e la bioetica ambientale. Di qui la grande rilevanza del primo degli Incontri capresi (dettaglio nella locandina allegata).


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  • Note storiche

    a cura di Pasquale Giustiniani

    1Dopo la demolizione del 1810 del precedente tempio napoletano dei Minimi (San Luigi a Palazzo, fondato di fatto da san Francesco), avvenuta a seguito della distruzione imposta da Gioacchino Murat e dal dominio francese, l’Ordine dei Minimi sarà ricostituito solamente nel 1814, stante “la intenzione, espressa con voto dal Sovrano, di costruire un grandioso tempio a san Francesco di Paola sul luogo medesimo dove già sorgeva la chiesa di S. Luigi a Palazzo, se il Santo gli avesse impetrato la riconquista del Regno” (1). La fabbrica della basilica di piazza Plebiscito, che oggi ammiriamo, sarà terminata nel 1831 e, così, il nuovo tempio “fu aperto al culto per ordine di S.M. Ferdinando II e nel 1836 fregiato del titolo di Basilica dal Pontefice Gregorio XVI” (2). Alla data del 20 agosto 1852 la neonata provincia religiosa contava quaranta religiosi, “distinti in ventitré sacerdoti, tre chierici e quattordici fratelli” (3). Dopo la visita apostolica del 1952, fu proposta l’autonomia della Provincia della Stella, distinguendone i conventi della Campania e della Sicilia in quasi-provincia di S. Maria della Stella (4), ma la proposta diverrà operativa solamente sei giorni dopo il 7 dicembre 1955 (data della supplica) (5). Oggi, al 2019, la Provincia religiosa di S. Maria della Stella è una delle tre Province italiane dell’Ordine dei Minimi; questa della Stella comprende la Campania, la Sicilia e la Repubblica Democratica del Congo ed è “corretta” oggi, a livello provinciale, da fra’ Saverio Cento.

    _________________________

    (1) A. Bellantono, La Provincia napoletana dei Minimi, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma 1964, 12.

    (2) Ivi, 13. 

    (3) Ivi, 15.

    (4) Ibidem.

    (5) “Da allora la Provincia Napoletana dei Minimi denominata di ‘Santa Maria della Stella’ dalla sede provincializia riprendeva il proprio posto nell’Ordine riallacciandosi per istoria e tradizioni alla primitiva ‘Provincia di Napoli’ o ‘di Terra di Lavoro’, o di ‘Campania’” (Ivi, 27).

    2Gli storici dell’Ordine dei Minimi ricordano anche il convento di Maria SS. di Pozzano, fondato nel 1477; il convento dei ss. Luigi e Martino in Napoli – o anche convento di san Luigi a palazzo -, nel già citato luogo, a ridosso di san Martino, dove sorgeva un romitorio Minimo, comprato direttamente dal santo di Paola nel suo viaggio verso la Francia, dove si spegnerà. Il santo, infatti, in viaggio verso la Francia, passò per Napoli, e il 27 febbraio 1483, a seguito di una donazione economica del monarca aragonese Ferrante, mise appunto gli occhi su un sito che, benché incolto e solitario, egli aveva previsto che sarebbe diventato “il centro più nevralgico e più aristocratico della città” (6). Lo spirito minimo e di perfetta carità, seminato da san Francesco, prima per se stesso e poi per altri sarebbe giunto fino a livelli disciplinari rigorosi, che di fatto perseguono quell’ansia di riforma della vita cristiana e della vita religiosa monastica, i cui accenni erano presenti in Calabria già in età umanistica e che, a livello ecclesiale generale, saranno sanciti dalle scelte riformate cattoliche del concilio di Trento, che tanta parte ha ancora nella riflessione teologica, e non soltanto sul piano storico. Si potrebbe tranquillamente affermare che il Concilio di Trento abbia rappresentato uno degli snodi più significativi della storia della Chiesa moderna, dando concretezza e sistematicità – pur tra numerose difficoltà e inconvenienti vari – a un anelito di riforma della Chiesa largamente condiviso e, peraltro, sollecitato anche dall’enfasi riformata protestante sul rinnovamento generale, attivando la successiva e graduale formazione di un modello ecclesiale destinato a durare nei secoli (7). Ma a nessun soggetto ecclesiale più che al clero si rivolse la premura riformatrice dei padri tridentini, consapevoli dei gravi problemi di formazione pressoché inesistente del futuro clero, nonché della vita dissoluta (anche in senso sessuale) di molti preti in cura d’anime, a volte più dediti al vino, alle donne, ai soldi che alla vita liturgica, che anzi, nel corso delle celebrazioni liturgiche pronti a trattenersi in piazza con gli altri scioperati del quartiere (8). Il Concilio stabilisce così che nei seminari siano ammessi «i ragazzi di almeno dodici anni, nati da legittimo matrimonio, sufficientemente capaci di leggere e di scrivere e la cui indole e volontà faccia sperare della loro perpetua fedeltà ai ministeri ecclesiastici. Il concilio vuole che si scelgano soprattutto i figli dei poveri, senza però escludere i figli dei ricchi, purché si mantengano da sé e dimostrino impegno nel servizio di Dio e della chiesa» (9).

    _________________________

    (6) A. Bellantono, La Provincia napoletana dei Minimi, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma 1964, 5.

    (7) F. Cardini, La magia nella predicazione popolare del Quattrocento, in San Francesco di Paola. Chiesa e società del suo tempo. Atti del Convegno internazionale di studio, Paola, 20-24 maggio 1983, Curia Generalizia dell’Ordine dei Minimi, Roma 1984, 83-94, 84.

    (8) H. JEDIN, «L’importanza del decreto tridentino sui seminari nella vita della Chiesa», in Seminarium, XV (1963) 3, 401.

    (9) Ibidem.

    3La volontà di diventare eremita, né diacono né prete, che Francesco da Paola manifesta ai suoi genitori, lo porta ad inaugurare un movimento di riforma penitente di tipo laicale (10). Non è un caso che un breve di Innocenzo VIII, indirizzato al re di Francia Carlo VIII, inviti il Paolano a prendere, per il movimento penitente, i tratti di vita di Frater Amedeus, ovvero l’autore della Apocalypsis nova, nella quale primeggia la figura del Pastor Angelicus, che riporterà la chiesa ai suoi splendori originari, in quanto vacabit divinis, canonens et antiquas patrum consuetudines observabit, insomma “prepara i tempi nuovi attraverso la riconquista degli antichi valori” (11). Del resto, proprio in una Francia, dove il santo Paolano si reca nell’ultima parte della vita, le voci di Jean Standonck, Elie de Bourdeilles (arcivescovo di Tours), erano piuttosto isolate nel richiamare alla povertà, mentre la vita e il vitto frugale di quell’eremita calabrese rappresentano un grande richiamo ai cristiani alla sobrietà e alla povertà. Nella stesura della Regola del 1474, si parla del Correttore (ovvero il Superiore) come uno che deve “essere doctus, esperto, saggio, meur, pieno di carità, puro e netto, sollecito, umile di coraggio, paziente, giusto, misericordioso, diligente e capace di vegliare supra suo grege, onesto, casto e pieno di virtù, buon parlatore, ricco d’autorità, specchio ed esempio di buona vita e di ogni bontà” (12). Beatificando il fondatore dei Minimi, papa Leone X potrà dunque affermare che “l’Ordine dei Minimi era il più castigato di tutti anche al presente” (13).

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    (10) G. Fiorini Morosini, San Francesco di Paola e il suo movimento penitente nella Chiesa del secolo XV, in San Francesco di Paola. Chiesa e società del suo tempo, cit., 124-154, 125.

    (11) Ivi, 132.

    (12) E.-R. Labande, Richesse et pauvreté à la fin du XV siècle, in San Francesco di Paola. Chiesa e società del suo tempo, cit., 262-281, 268.

    (13) Ivi, 3.

    4Disciplinato, dedito alla preghiera, alla vita quaresimale e allo studio. Non è un caso che il fondatore della filosofia moderna, René Descartes, abbia scelto un Minimo, padre Marin Mersenne quale suo revisore e corrispondente. Teologo e scienziato francese (1588-1648), questo Minimo – oggi rilanciato dalla nostra Associazione – ha il merito d’inserire nel dibattito l’idea della correlazione tra la nuova scienza meccanicistica (che è una scienza delle leggi esatte) e la difesa della religione (la quale, per continuare a credere nel miracolo ha appunto bisogno di leggi fisiche). Di qui i suoi studi sui numeri primi, sulle leggi dell’acustica, che lo condussero fino a poter essere chiamato le secrétaire de l’Europe savante, ovvero intermediario tra i più grandi scienziati del Seicento, tra i quali Galileo, Gassendi, Hobbes, Roberval e, in particolare, consulente teologico di Cartesio.

    5Clemente XII, il 6 settembre 1738, procla¬mò Francesco da Paola patrono principale del Regno delle Due Sicilie, su richiesta del re Carlo VII di Borbone; Pio XII, il 27 marzo 1943, lo riconobbe patrono delle associazioni preposte alla cura della gente di mare, delle società di navigazione e di tutti i marittimi d’Italia. Infine, San Giovanni XXIII, il 2 giugno 1962, sulla soglia del Vaticano II, lo proclamò patrono principale della regione Calabria, con il breve Lumen Calabriae. Il 24 aprile 1990 San Francesco di Paola sarà infine nominato ambasciatore Unicef per la difesa dei diritti dell’infanzia.